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I SITI ARCHEOLOGICI DEL MOLISE

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AREA ARCHEOLOGICA DI SEPINO

L’area archeologica di Saepinum - Altilia è al centro di un vasto e complesso sistema di popolamento, che interessa il versante nord-orientale dei Monti del Matese e le valli fluviali del Biferno e del Tammaro. La fitta rete di collegamenti terrestri era dominata, da un percorso che, con la dominazione Aragonese, sarebbe diventato il tratturo Pescasseroli - Candela, che corre ai piedi del Matese, costeggiandolo per tutta la sua lunghezza. Questa via di comunicazione ha permesso, attraverso la transumanza, la creazione di un importante sistema economico e ha rappresentato l’asse principale per lo sviluppo di una complessa struttura insediativa che ha visto dal IV sec. a.C. la creazione di un impianto difensivo caratterizzato da fortificazioni in opera poligonale. Una di esse, l’attuale Terravecchia di Sepino, posta sull’omonima altura a 953 metri di quota, controllava un importante insediamento a valle, sorto all’incrocio di due strade: una in direzione NO/SE, il tratturo, che collegava l’Abruzzo con la Puglia, l’altra in direzione SO/NE, un percorso stradale, che dalla Campania attraversava il Matese e raggiungeva la Daunia.

In questa fitta rete di collegamenti si inserisce, a metà strada tra l’insediamento a monte e quello a valle, un santuario extraurbano dedicato alla dea Mefite in località S. Pietro dei Cantoni. Questo santuario, frequentato dalla fine del IV. sec. a.C., raggiunse la sua piena attività intorno al III sec. a.C.; una volto abbandonato il culto pagano il sito vide la presenza di una chiesa cristiana anch’essa abbandonata già in antico, probabilmente a seguito di un rovinoso terremoto.

Con l’espugnazione dell’insediamento sannita nel 293 a.C. ad opera dell'esercito romano guidato dal console Lucio Papirio Cursore, durante la terza guerra sannitica, quello a valle acquisisce maggiore rilevanza e vi si concentreranno numerose attività edilizie che culmineranno con l’assetto di età augustea. Quest’ultimo ha un’estensione di circa 12 ettari, delimitata da una cinta muraria quadrangolare, lunga circa 1250 m., realizzata in opus quasi reticulatum, sulla quale si aprono quattro porte monumentali in linea con il cardo e il decumano, gli assi stradali principali del municipio, preesistenti all’epoca della sua fondazione. All’incrocio degli assi maggiori si apre il foro, la piazza principale della città, su cui si affaccia la maggior parte degli edifici pubblici, tra cui spicca il bel colonnato della basilica, edificio con funzioni amministrative e non religiose.

Il nome antico dell’insediamento, già legato al centro sannitico, Saipins, o Saipinom è confluito in quello romano di Saepinum e sopravvissuto nel nome attuale del borgo di Sepino nato nell’alto medioevo; tutti hanno in sé la stessa radice del verbo latino saepio «recingo» e lasciano intuire la naturale vocazione del luogo, destinato alla sosta e al riposo delle greggi transumanti. Secondo alcuni il nome medievale del sito Altilia deriverebbe dal termine arabo Al Tell ossia «città in rovina», doveva essere questa la condizione della città nell’ultima fase della sua vita, quando i Saraceni arrivarono in regione e approdarono fin qui. I dati in nostro possesso sembrano infatti testimoniare il totale abbandono della città proprio a seguito dell’invasione saracena avvenuta intorno al IX sec. La popolazione cercherà rifugio sui monti, ritenuti più sicuri, andando a creare i paesi, ancora oggi visibili nei dintorni della valle e arroccati rispetto ad essa, quindi più difendibili.

Ad oggi i resti dell’antica città romana, portata parzialmente alla luce dagli scavi archeologici, si mescolano ai casali in pietra, costruiti tra il XIV ed il XIX secolo con il materiale proveniente dai crolli degli edifici romani in rovina, allorquando l’area tornerà ad essere nuovamente abitata.

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AREA ARCHEOLOGICA DI PIETRABBONDANTE

Le prime ricerche, nell’area archeologica di Pietrabbondante furono condotte intorno alla metà dell’Ottocento dai Borboni, in quel periodo vennero portati alla luce il teatro ed il tempio minore, chiamato in seguito tempio A. Gli scavi susseguitisi nel tempo hanno messo in luce un complesso monumentale senza confronti negli ambienti sabellici per grandiosità e per finezza architettonica ed hanno dimostrato come tutta l’area fosse già frequentata nel V sec. a.C.; è però nel IV sec. a.C. che si assiste ad una monumentalizzazione del sito, testimoniata dai resti del santuario con il tempio ionico che si trova nell’area sulla quale è stato poi costruito il teatro. Tra la metà del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C. si assiste alla realizzazione del tempio A, e di due sacelli alla sua sinistra, e viene concepito il progetto unitario che vedrà la costruzione del complesso Teatro-Tempio e di una struttura di rappresentanza (domus publica). Diventa  in questo momento ancora più evidente il ruolo pubblico e politico dell’area, accanto alla funzione prettamente sacra. A seguito degli sconvolgimenti provocati dalla guerra sociale, l’intera area perderà progressivamente la propria importanza tanto che, salito al potere Augusto, essa verrà assegnata alla famiglia dei Socelli; gli edifici sacri minori continuano ad attirare fedeli mentre quelli principali cadono in abbandono mentre la domus publica viene trasformata in abitazione privata. Dopo il III secolo d.C. sono documentate forme insediative minori almeno fino al V secolo d.C., quando in ottemperanza agli editti imperiali vengono distrutti i templi pagani ancora attivi. L’ultimo atto della storia del santuario si svolge all’interno di un sacello dove è celebrata una complessa cerimonia che sancisce la chiusura e l’abbandono definitivo del sito.

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AREA ARCHEOLOGICA

DI MONTE VAIRANO

La presenza dell’uomo a Monte Vairano trova le sue prime attestazioni nel VI sec. a.C. come documentato da ritrovamenti sporadici che testimonierebbero la presenza di un insediamento stabile già da quell’epoca. È però dalla fine del IV sec. a.C. che inizia il periodo di maggior sviluppo dell’abitato, è da assegnare a questo periodo, con molta probabilità, la realizzazione di un circuito murario di circa 3 km con tre porte scee che racchiude un’area di circa 50 ettari; all’interno delle mura la complessa morfologia ha reso necessaria la costruzione di almeno quattro ampi pianori, sorretti da possenti muri di contenimento, collegati tra loro da quello che si sta rilevando un complesso sistema di strade principali e secondarie. Sono soprattutto queste le zone dove le indagini archeologiche hanno evidenziato la presenza di edifici pubblici e privati, oltre ad un articolato sistema di canali e cisterne per il recupero dell’acqua piovana, fondamentale in un luogo dove non sono presenti sorgenti. Le strutture ed il considerevole numero di reperti archeologici rinvenuti testimoniano l’estrema complessità dell’insediamento e dei contatti che quest’ultimo intratteneva con le regioni limitrofe e del bacino del Mediterraneo. Dall’inizio del I sec. a.C. si ravvisa una forte riduzione della frequentazione dell’area; ampie tracce d’incendio, rinvenute negli strati di crollo di diversi edifici, hanno fatto pensare che questa sia da mettere in relazione con le operazioni belliche che Silla stava compiendo in quel lasso di tempo nella piana di Bovianum (89 a.C.). Nonostante la forte contrazione dell’insediamento la zona non risulta del tutto abbandonata, sono infatti evidenti la manipolazione di alcuni edifici sannitici in epoca romana, come quelle avvenute nel cosiddetto “Edificio C”; il circuito murario era già in abbandono da tempo tanto che nel II sec. a.C. nei pressi di Porta Vittoria fu realizzata una fornace per la produzione di vernice nera che ha parzialmente distrutto il paramento interno delle mura. L’area sembra ritrovare una certa dimensione abitativa nell’alto medioevo, momento al quale è possibile assegnare la costruzione del castello e della chiesa dedicata a S. Pietro, localizzati sulla cima più alta; in ultimo in un documento del 1496 Monte Vairano viene citato come casale disabitato.

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AREA ARCHEOLOGICA DI ROCCAVIVARA

LOCALITA' SANTA MARIA DEL CANNETO

Il sito è posto sulla sponda destra del fiume Trigno, a valle rispetto all'abitato di Roccavivara, nei pressi del tratturo Celano – Foggia.

Alle spalle del Santuario Medievale, è stata rinvenuta e scavata da parte della SoprintendenzaArcheologia Belle Arti e Paesaggio del Molise una villa rustica di età romana. La sua fondazione risale al I secolo a.C., momento in cui il Sannio entra a far parte dell'impero romano e, con tutta probabilità, faceva parte della giurisdizione del municipio di Terventum, l'attuale Trivento.

La villa romana di Canneto rappresenta un tipico esempio di "villa rustica", struttura organizzata, generalmente, in due parti: "pars urbana", quella residenziale e "pars rustica" la parte riservata alla produzione agricola. Infatti, la vocazione produttiva della villa è testimoniata dalla presenza di ambienti interpretati come magazzini per la presenza di dolia, grandi contenitori da derrata. Inoltre, è stato rinvenuto anche un “torcular”, in particolare,  i resti della base di un torchio utilizzato per la spremitura di olive o di uva. La posizione stessa della villa, lungo la valle del Trigno, vicino a terreni adatti alla coltivazione di vite o olivo confermano la natura e la funzione di questo edificio.

La vita della villa arriva fino al IV secolo d.C, poi, durante il tardoantico, come spesso succede per gli edifici romani in abbandono, la struttura è usata come cimitero.

È certo che l'area non viene mai del tutto abbandonata, infatti a pochi metri sarà edificata la chiesa medievale di Santa Maria di Canneto, menzionata fin dal 706 d.C. e nel 944 Papa Martino III confermava la sua dipendenza dal Monastero di Montecassino. L'edificio attuale risale al XIII secolo, tuttavia, all'interno delle murature sono reimpiegati frammenti architettonici databili al VII e VIII secolo.

La torre campanaria, risalente al 1329, invece, utilizza blocchi provenienti da monumenti funerari romani, è dotata, inoltre, di merli come una fortezza, e su due piani vi sono trifore.

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PARCO ARCHEOLOGICO  DELL'ANFITEATRO ROMANO E DI VILLA  ZAPPONE - LARINO 

Tra gli edifici antichi della Larinum romana conservati e arrivati fino a noi, il più monumentale è, senza dubbio, l'anfiteatro romano. Esso risale alla fine del I - inizi del II d.C., costruito per volere di Capito, un illustre personaggio larinate che aveva fatto carriera politica a Roma. Lo sappiamo grazie all'epigrafe rinvenuta presso porta ovest (dove oggi è possibile ammirarla rimontata), iscrizione, che molto probabilmente, doveva essere riportata su tutte e quattro le porte.

L'anfiteatro, di forma ellittica, è stato per metà scavato nel banco naturale di arenaria, e per la restante parte costruito in elevato, con il materiale di cava. Le due porte principali, dette convenzionalmente porta nord e porta sud, erano riservate, la prima, all'ingresso o all'uscita trionfante dei gladiatori, mentre la seconda all'uscita degli sconfitti. Ai lati di entrambe, quattro vani di servizio, gli spoliaria.

Della struttura originaria, oggi completamente restaurata, si conservano, oltre alle porte, anche parte di ima e di media cavea.  Il pubblico poteva accedere ai posti a sedere attraverso 12 vomitoria verticali e corridoi esterni, detti ambulacra, e assistere allo spettacolo riparati dal sole o dalla pioggia grazie al velarium, un sistema di copertura mobile costituito da tende azionate da corde.

La struttura è realizzata in opus mixtum, in cui si alterna l'opus quasi reticolata, con cubilia  realizzati in pietra tufacea locale, e l'opus in laterizio, in mattoncini. In base alla sua grandezza, è stato possibile stimare che potesse contenere circa 10 mila spettatori, rientrando così nella categoria degli anfiteatri di medie dimensioni.

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PARCO ARCHEOLOGICO  DELL'ANFITEATRO ROMANO E DI VILLA  ZAPPONE - LARINO 

Poco distante dall'anfiteatro, ma sempre all'interno del parco archeologico, è possibile ammirare anche i resti delle terme romane.  Durante i lavori per la ristrutturazione di Villa Zappone, infatti, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Molise ha intercettato vasche e strutture preesistenti e pertinenti a uno degli impianti termali della città. Oggi, è possibile ammirare i mosaici di due delle vasche conservate, datate al II secolo d.C. Si tratta di mosaici policromi con rappresentazione di animali fantastici, per metà terrestri e metà acquatici e figure geometriche.

L’elegante villa in stile liberty, situata a pochi metri dall’Anfiteatro romano, fu costruita nel 1900 su un terreno acquistato nel 1892 dall’Avvocato Filomeno Zappone, ma, con decreto del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali del 7 luglio 1994, lo Stato diventa proprietario del parco e delle strutture in esso contenute.

Per la sua costruzione vennero utilizzati materiali provenienti, senza dubbio, dallo spoglio della Larinum Romana, soprattutto dal complesso termale.

La Villa, al suo interno, è dotata di numerosi affreschi con scene ispirate alla mitologia classica. Gli ambienti della scuderia e della lavanderia insistono sui resti romani preesistenti, infatti, è presente un condotto fognario perfettamente conservato, che doveva essere, probabilmente, al servizio non solo delle antiche terme ma di un intero settore urbano.

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PARCO ARCHEOLOGICO  DELL'ANFITEATRO ROMANO E DI VILLA  ZAPPONE - LARINO 

Mosaico policromo delle terme romane.

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