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I MUSEI DEL MOLISE

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MUSEO SANNITICO - CAMPOBASSO

Camminando tra i vicoli del centro storico di Campobasso è facilmente raggiungibile il Museo Sannitico che, dal 1995, ha sede presso Palazzo Mazzarotta, dimora nobiliare della famiglia napoletana di cui ancora si conserva, sul portale d’ingresso, lo stemma della casata. Il Museo è la più antica istituzione museale della regione, inaugurato nel 1882 insieme al primo nucleo della Biblioteca Provinciale Albino, espressione illuminata di consegna del patrimonio  storico alla comunità.

Il museo, accanto all’antica collezione dei reperti catalogati nell’Ottocento, conserva materiali provenienti da scavi più recenti effettuati principalmente sul territorio della Provincia di Campobasso. L’attuale esposizione, seguendo il criterio cronologico, ricostruisce attraverso i reperti la storia del territorio molisano dal periodo arcaico a quello basso medievale in un percorso evocativo che ben si adatta agli spazi dell’antico palazzo.

Al piano terra ci sono i reperti più antichi che raccontano le dinamiche insediative esistenti prima dell’arrivo dei Sanniti fino alla loro diffusione con le prime testimonianze di corredi funerari in area Pentra e Frentana.

Al primo piano le vetrine accolgono i materiali appartenenti al periodo di maggiore sviluppo del popolo italico, con riferimenti alle attività produttive, al commercio, alla scrittura e alla religione.

Al secondo piano si conservano oggetti appartenenti al periodo di romanizzazione del Sannio provenienti principalmente dalle città antiche di Saepinum e Larinum. Sempre al secondo piano, si sviluppa un’intera sezione dedicata la Medioevo con gli straordinari reperti provenienti dalle necropoli di Campochiaro, e oggetti di epoca bassomedievale, per lo più ceramica, che raccontano la continuità di vita dei siti molisani evoluti in castelli, mura e terre ulteriori e nuovi elementi identitari dei nostri borghi.

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MUSEO ARCHEOLOGICO - VENAFRO

Il Museo Archeologico di Santa Chiara è ospitato all'interno del Monastero seicentesco di Santa  Chiara, nel centro storico di Venafro, dove dal 1931 aveva trovato collocazione un primo nucleo di materiale archeologico, proveniente dalle Terme di S. Aniello. Oltre all'antica raccolta, il Museo conserva i ritrovamenti provenienti dai recenti scavi archeologici, che hanno permesso di conoscere meglio l'insediamento sannitico e la città di età imperiale.

Il percorso espositivo si articola in due piani secondo criteri cronologici e tematici, e documenta le varie forme di occupazione del territorio in età romana: necropoli, opere pubbliche, insediamenti produttivi; i principali monumenti della città; infine, mostra i diversi aspetti della vità quotidiana, pubblica e privata della Venafrum romana.

Nel portico del chiostro si trova materiale proveniente dalle necropoli, che si distribuivano lungo le principali vie di accesso della città romana.

Nelle sale sono esposti elementi architettonici appartenenti alla decorazione del teatro romano e delle strutture circostanti in località Sant'Aniello; degne di nota sono le due grandi statue di togati.

Vi sono poi documentati ritrovamenti in abitazioni private ed edifici di area urbana, con resti di affreschi e mosaici. Di particolare interesse è l'Editto Augusteo con le regole d'uso dell'acquedotto, redatto negli anni tra il 17 e l'11 a.C. Il documento contiene le indicazioni sulle modalità costruttive, i rapporti con i proprietari dei terreni attraversati, la distribuzione dell'acqua ed indica i magistrati a cui era affidata la gestione e la sorveglianza dell'acquedotto e che erano competenti in caso di controversie.

Tra le sculture è nota la statua raffigurante Venere, di età antoniniana (II secolo d.C.), che fu ritrovata nel 1958 durante i lavori per la costruzione di una casa in via Colonia Giulia.

Per la fase sannitica arcaica una sezione museale illustra gli scavi della necropoli di Pozzilli. Infine c'è tutta una sezione dedicata ai manufatti , resti archeologici ,decorazioni di fregi  provenienti dall'area della Basilica  di Castel San Vincenzo.

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MUSEO PALEOLITICO DI ISERNIA

LA PINETA

Il giacimento paleolitico di Isernia La Pineta riveste un ruolo fondamentale nel panorama della preistoria europea non solo per l'enorme quantità di reperti rinvenuti ma soprattutto perché, grazie alla sua alta antichità, si inserisce nel novero dei preziosi siti del Paleolitico inferiore che permettono di ricostruire i tempi e le modalità di diffusione dei primi uomini nel nostro continente.

I gruppi umani che frequentarono l'area intorno ai 620.000 anni da oggi, annoverabili nella specie che convenzionalmente viene definita Homo heidelbergensis, occuparono più volte piccole aree in prossimità di ambienti umidi occasionalmente interessate da eventi alluvionali. Le attività di scavo hanno infatti portato all'individuazione di tre differenti suoli caratterizzati da frequentazione antropica (3c, 3a, 3S10) riconducibili al medesimo orizzonte cronologico.

Lo studio interdisciplinare delle evidenze archeologiche ha permesso di tracciare con una certa sicurezza le modalità di comportamento dei gruppi umani che a più riprese frequentarono l'area. L'analisi del record paleontologico dimostra che i piccoli gruppi umani, 600.000 anni or sono, si procacciarono il necessario sostentamento dal recupero di carcasse animali rinvenute durante l'esplorazione del territorio circostante.

È presumibile che gli Heidelbergensis di Isernia fossero in grado di abbattere animali di grandi dimensioni e che lo charognage (sciacallaggio) fosse tra le strategie alimentari più diffuse. Appare inoltre chiaro come l'uomo operasse selettivamente, depezzando e trasportando presso l'area fluvio-lacustre solo alcune parti dell'animale, nello specifico quelle che potevano fornire più tessuto facilmente consumabile.

Nell’area dell’attuale sito avveniva poi la scarnificazione dei segmenti scheletrici e la fratturazione intenzionale delle ossa lunghe e dei crani degli animali. Il consumo di carne cruda venne, verosimilmente, integrato con quello non meno appetibile rappresentato dal tessuto cerebrale e midollare delle prede.

Nel 2014 è stato rinvenuto un dente umano (IS42), si tratta di un incisivo superiore deciduo di un bambino di età compresa tra i 5 e i 7 anni. Ad oggi, IS42 è uno dei reperti umani più antichi d’Italia.

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